Ripensando alle storie che ascoltavo da bambino mi torna in mente la favola della lepre e la tartaruga, dove questi due simpatici animaletti, si affrontavano in una gara; viste le caratteristiche delle due, si dava per scontato che la prima, molto più veloce e scattante della seconda, avrebbe vinto.
Rimanevo infatti affascinato dalla competizione fra personaggi così diversi fra loro, sia nel modo di essere, che di gareggiare e come cercavano di arrivare al traguardo per primi alla fine di una lunga strada sterrata.
Più ammirata la lepre, scattante, veloce, agile e un po’ meno la tartaruga, con le sue tipiche caratteristiche di lentezza e poco reattività; forse perchè fin da piccoli siamo condizionati da una società competitiva, che ci vuole sempre scattanti, produttivi, reattivi e che più o meno indirettamente denigra il modello tranquillo, non competitivo, lento e non agonista.
Ancor più stupito e sorpreso rimasi allorchè la gara fu inaspettatamente vinta dalla tartaruga, poiché la lepre, così sicura delle sue capacità e convinta della sua vittoria, si era appisolata vicino al traguardo, in attesa che la lenta compagna di gara, prima o poi sarebbe arrivata; così fece e tagliò il traguardo con grande stupore e disdegno della lepre.
Quello che si possa evincere quindi da questa favola, è che per il raggiungimento di un obiettivo più che il talento, dono o capacità che si possieda, più importante sia il modo in cui lo si utilizza.
Cosi come da bambino le mie prospettive e aspettative sul risultato della gara furono disattese e disilluse, allo stesso modo da grande, le mie convinzioni sulle tipologie di personalità normali e patologiche sarebbero poi state disconfermate.
Non avrei mai immaginato di quale potente significato intrinseco fosse portatrice questa fiaba e neanche che avrei ritrovato nella vita e nel mio lavoro attuale in ambito psichiatrico, analoghe modalità e processi presenti in essa e nei suoi personaggi.
Davo per scontato che i mezzi posseduti per raggiungere un obiettivo, un risultato, avevano di certo un potere superiore rispetto al loro modo di utilizzarli; a livello intuitivo chi ha più capacità vince su chi ne ha di meno o in minor misura.
È vero infatti che pazienti psichiatrici in certe situazioni “vincono” o comunque hanno un risultato migliore di persone senza alcuna patologia di questo genere.
Tante persone sane, ovvero senza diagnosi, nonostante l’intelligenza, i titoli di studio, presentano qualità interiori ed esteriori meno apprezzabili di alcuni pazienti psichiatrici, che al contrario, anche se con meno possibilità e risorse, risultano più adattati, rispettosi e adeguati.
Questo non solo a livello comportamentale, personale e sociale, ma anche affettivo e relazionale; mi è spesso capitato infatti di ricevere più affetto e considerazione da pazienti che non da certi colleghi a volte competitivi e arrivisti.
Nonostante la gravità della loro patologia mentale, molti pazienti riuscivano a manifestare comportamenti socialmente più adeguati, a raggiungere dei risultati lavorativi o a frequentare luoghi pubblici in maniera adeguata, rispetto a tante persone senza alcuna patologia psichiatrica.
La domanda che mi pongo allora è : la normalità è sempre preferibile alla patologia?
Viene da chiedermi dunque, cosa sia meglio o cosa comunque sia preferibile se una persona con problemi mentali che comunque è più adattata e inserita socialmente, che ha in certi casi una migliore e maggiore continuità lavorativa, che ha più facilità di costruirsi delle relazioni sociali e affettive, che prova sentimenti più veri e sinceri e più empatia, rispetto ad una persona senza alcuna diagnosi psichiatrica ma con meno o addirittura nessuna delle caratteristiche sopra citate.
Questo naturalmente vale per alcuni casi e non può essere generalizzato, ogni paziente con la sua storia e situazione familiare è un caso a sé e come tale va considerato e trattato.
E’ forse il caso di dire che non è tanto importante il dono, talento o come dir si voglia che tu abbia, ma come lo utilizzi.
Da quella che può sembrare una debolezza puo’ nascere una forza e da un disagio una capacità.
Quando si lavora e si entra in contatto con la patologia psichiatrica, si comincia a conoscere un mondo nuovo e si cambia prospettiva di vita; nonostante gli stereotipi ed i pregiudizi sociali, si vengono a rompere alcuni schemi e costrutti personali e sociali, che stigmatizzano il malato mentale in una categoria a parte, del diverso che a volte fa paura.
Vengono cosi alla luce aspetti personali a volte bizzarri e divertenti dei pazienti psichiatrici, dei quali non eravamo minimante a conoscenza; si comincia ad apprezzare il “diverso” che grazie alla sua particolarità e originalità, ci aiuta a riscoprire lati della nostra personalità dei quali non avevamo consapevolezza, per dare inizio così a dei rapporti del tutto nuovi e particolari.
Dr. Simone Carletti
Psicologo Psicoterapeuta a Montecchio di Vallefoglia